Ho trovato una vecchia fotografia e ho controllato. Ho avuto la conferma che Paco Taibo II, pirotecnico scrittore messicano, aveva ragione: Ernesto Guevara, el Che, perfino da ministro dell’industria e da direttore del Banco nacional di Cuba, se ne andava in giro con gli anfibi slacciati. “Aveva sempre fretta”, lo scusa Paco Taibo. Io mi ostino a credere che quelle stringhe slacciate fossero !il segno di un’inquietudine, di un dubbio”. Questa era la condanna (o il privilegio) di Ernesto: doveva sempre andare e nemmeno a Cuba riuscì a fermarsi. Gli anfibi slacciati erano la prova della sua ansia irrefrenabile.
Ernesto Guevara era un argentino perfetto. Sciupafemmine, bello, sfrontato. Non poteva vivere senza mate, la bevanda nazionale, o senza grigliar carne in ogni festa paesana. Ha una sola, gravissima mancanza, Ernesto: non sa ballare il tango. Rimedia con l’arte di viaggiare. I ragazzi argentini viaggiano. Da sempre e per sempre. Hanno una Maiuscola America da percorrere. Ernesto attraversa il continente in bicicletta, in sella alla moto Poderosa assieme all’amico Alberto Granado, in nave, in treno. A piedi.Ho cercato di seguirne le tracce: dall’Atlantico al Pacifico, da Buenos Aires a Valparaiso.
Mi piace da impazzire il coraggio sventato di Ernesto e Alberto. La loro storia ha la bellezza della libertà.
Testo: Andrea Semplici
Gli anfibi slacciati di Ernesto Guevara.