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Se il lavoro è un fake

Ho deciso di candidarmi a un annuncio fregatura per raccontare com’è andata (e come evitare che capiti agli altri).

Non si può restare sempre dalla parte tranquilla della barricata a dispensare consigli. C’è l’alto rischio di perdere il contatto con la realtà. E se una coppia di autori vuole scrivere un libro su come trovare lavoro (che è una questione realissima), a un certo punto, proprio con questa ricerca deve misurarsi. Almeno una delle due penne: io.

Durante la stesura di Riparti da qui ci siamo concentrati sulle storie, raccogliendole e facendole nostre. Dalle testimonianze è emerso un aspetto trasversale: moltissime proposte d’impiego sono truffaldine.

Non volendo invischiarmi in una ricerca con realtà oneste (alle quali, per altro, avrei sottratto risorse e tempo utili a loro e a chi aveva bisogno), ho deciso di esplorare l’universo delle possibilità farlocche. Confermo: sono una marea.

In un caso sono andato oltre l’analisi degli annunci e dei loro promotori, seguendo consapevolmente (quasi) in toto la trafila di selezione. Un’esperienza indimenticabile.

É andata così.

Sfogliando un quotidiano locale incappo in un’inserzione:

” Azienda di comunicazione e marketing specializzata in editoria ricerca figure per possibile inserimento all’interno del proprio team con contratto dipendente. “
Mi dico: “Perfetto, voglio candidarmi. Questa è una bella fregatura!”. Perché? Beh, facile: nome dell’azienda assente; sede di lavoro assente; requisiti richiesti assenti; tipo di posizioni aperte assenti e via dicendo. Certo, in un annuncio qualcosa può mancare e pure a ragione, ma quando a non esserci è praticamente tutto la faccenda puzza. Puzza parecchio.

Anche quel poco di scritto è abbastanza bislacco. Come la specifica “possibile inserimento” che mi fa irritare come un cobra incantato con “Italia amore mio” di Pupo e il Principe Emanuele Filiberto: si ricerca personale così, perché è divertente? Perché si fanno nuove conoscenze tipo speed-date? Cos’è, di solito si manda il curriculum a una realtà in cui l’inserimento è impossibile? “Sì, sì, venga pure, ma sappia che non prendiamo nessuno! Qui mica si fanno le selezioni per assumere, è che ci piace sfanculare le giornate…”

Vabbé, a parte l’ovvietà del sottinteso (che dovrebbe essere palese per chi si taccia di operare nella comunicazione) telefono per recuperare maggiori informazioni, visto che il mio profilo potrebbe risultare interessante considerato il background dal quale provengo, con maggiori chance di un sì. Problema che non si presenta.

La ragazza dall’altra parte della cornetta mi consiglia di controllare il sito e fissa il colloquio il giorno dopo nel quale avrei dovuto portare il C.V.

Uno manco se l’aspetta e Bam, fatta: sufficienti i basilari dati angrafici. Poi si lamentano che c’è la crisi…

Chiedo discretamente “Ma non volete leggere prima il mio profilo?”

“Signor Tasso, Il Selezionatore…” (e su Il Selezionatore la ragazza assume un tono ossequioso) “…si preoccuperà di controllare il materiale domattina prima che lei arrivi.”

Giusto. Non devo mettere bocca sul metodo altrui. L’importante è che valuti.

Ho composto un curriculum per l’occasione, barando solo sulle date per risultare “attualmente inoccupato”.

Spulcio il sito dove l’azienda vanta di essere stata determinante nel successo di grandi marchi editoriali. Sul come non accenna a mezza parola.

Il mattino seguente, puntuale come la dissenteria durante un viaggio in Africa, mi presento all’indirizzo dettatomi. Consegno il curriculum compilato ad hoc alla segretaria (con la parte professionale sull’editoria ben evidenziata) e mi accomodo in sala d’attesa.

Mentre aspetto osservo. Io osservo sempre. E noto, purtroppo. Purtroppo per loro, dico. Sulla parete alle mie spalle c’è un murales col nome di un’azienda diversa. Che figura… Le tinte ragazzi, almeno quelle! Cosa vuoi che costi una latta di pittura, venti euro? Chiamatelo un imbianchino, vaccacane, che dopo passate per fessi.

Tempo dieci minuti e Il Selezionatore entra in scena con una stretta di mano che mi ha fratturato il quarto metacarpo. Dopo i saluti, lo seguo in un ufficio molto grande e molto vuoto.

Non mi chiede nulla. Nada de nada. Si preoccupa solo di spiegare che sono in contatto con importantissimi editori per incrementarne le vendite “rivolgendosi direttamente all’utente finale”. Per la mia esperienza, un minimo di consapevolezza del mondo dei libri ce l’ho e il sistema di distribuzione e promozione mi è abbastanza chiaro. Non funziona così. Senza tralasciare il fatto che il loro nome, in editoria, non l’avevo mai sentito prima. Il che è strano in un settore relativamente piccolo. Sollevo dei dubbi sottolineando la provenienza professionale. L’espressione de Il Selezionatore è un meraviglioso miscuglio tra chemmenefotteammé e un cortocircuito cerebrale. Chiaramente non aveva nemmeno sfogliato il C.V.

Liquida il tutto con: “Non sempre lavoriamo con le case editrici”.

“Ah! E con chi altri?”

“Dipende dal mercato.”

“Cioè?”

“Da quello che tira. Oggi tirano i libri? Noi vendiamo libri. Domani tirano i computer? Passiamo ai computer.”

“E i peli di f***? Quelli tirano parecchio, recita il detto!”

“Come scusi?”

“Niente, lasci stare. Ma li vendete come?”

“Dipende dalle esigenze del settore.”

“Sì, ma tipo?”

“Tipo cosa?”

“Tipo i libri: come li vendete?”

“Dipende…”

“Un esempio?”

“Ce ne sono tanti.”

“Sarei curioso di conoscerne uno.”

“É, non è che si può spiegare così, bisogna contestualizzare. Dipende…”

Livello di evasività: Felice Maniero.

Imperterrito continuo l’indagine: “Sul vostro annuncio scrivete inserimento da dipendente. Corretto?” chiedo senza troppi scrupoli.

Sguardo basso. Silenzio.

“Scusi: proponente un contratto dipendente vero?” ribadisco.

“Diciamo che potrebbe essere, dopo un’attenta valutazione di sei mesi.”

“Ok, e durante la valutazione di sei mesi come inquadrate le persone?”

Con naturalezza disarmante: “Ci sono diverse formule che discutiamo in un secondo momento, dopo che si accetta.”

Chapeau! Questo è talento signori. Devi farti assumere senza sapere come e quanto sarai pagato.

Chiudiamo il “colloquio” con l’invito per il giorno seguente ad unirmi nel (testuali parole): “Giro visite ai clienti family del nostro collaboratore top”. Una supercazzola alla Conte Lello Mascetti che dimostra, però, una cosa: Il Selezionatore sapeva perfettamente in che modo vendono i prodotti.

“Ok, parliamoci chiaro” stoppo, “fate porta-a-porta, giusto?”

Ed è un susseguirsi di “Macché”, “Ma-va-là”, “Ma no”, “Ma ci mancherebbe”, “Suvvia” eccetera.

Invece è esattamente e palesemente così. Tornato a casa verifico in internet il nome dell’azienda del murales: una realtà door-to-door di contratti gas e luce, con stessa sede legale e stessi rappresentanti di quella alla quale ero appena stato. Un malcelato tentativo di cambiare volto ma non sostanza. Un commento a un post della loro pagina Facebook, poi, mi colpisce: un signore scrive che sono dei truffatori.

Mi metto in contatto con lui e mi racconta la vicenda: la figlia di 26 anni, laureata, con un contratto appena scaduto ha accettato di unirsi al “giro visite a clienti family del collaboratore top.” Seppur avesse dichiarato a più riprese che un mestiere porta-a-porta non era di suo interesse e avesse scongiurato, insospettita, di ammetterlo per non farle perdere tempo, questi se ne sono fregati e l’hanno fatta andare lo stesso.

É stata caricata in macchina, portata a 60 km di distanza dalla sua auto, e giunta sul luogo le è stato intimato di suonare i campanelli e proporre contratti luce. Alle vecchie, perché è meglio.

Quando lei ha dato picche, il collaboratore top ha palesato un’umanità pari a uno Khmer rosso, lasciandola lì da sola sotto la pioggia, senza nemmeno offrire un passaggio di ritorno.

Una storia triste che, in parte, ha coinvolto me (toccando con mano quanto sia insidioso il panorama occupazionale) ma soprattutto una ragazza e presumibilmente molte altre sul serio bisognose d’impiego. Il lato positivo è che se ne può trarre un minimo di insegnamento, riconoscendo i campanelli d’allarme tipici di una cattiva proposta:

1) Quando il processo di selezione è troppo snello, occhio. Una realtà che non valuta con criterio ma chiama tutti ad cazzum, spesso non è seria. Le aziende devono/vogliono investire sui propri collaboratori e perciò la scelta è un processo attento;

2) Se il focus d’interesse non è rivolto (anche) al candidato ma esclusivamente a presentare l’azienda c’è qualcosa che non va. Un confronto serve a entrambe le parti per compiere valutazioni e per conoscersi, ma certamente l’esplorazione principale la fa chi recluta. Quando, poi, le qualità vengono presentate esagerando al limite del grottesco, la soglia di pericolo è maggiore;

3) La chiarezza è essenziale: cosa fa l’azienda, com’è strutturata, come e da quanto opera, in che modo inquadra i propri collaboratori… Alcune di queste informazioni si possono trovare in rete o banalmente chiedendo, altre possono essere presentate al colloquio o successivamente. I segreti sono pericolosi, invece la trasparenza è una buona garanzia;

4) Nel momento in cui una realtà si identifica in un settore e non è allineata, c’è da prestare attenzione. Facciamo un esempio scontato: un’azienda che afferma di essere specializzata in pubblicità e ha 81 followers su Facebook nonostante sia attiva da un anno, non è molto credibile (caso realmente esistito, rivelatosi una sorta di network marketing operante in tutt’altro segmento). Non è una constatazione assoluta, magari è solo indice di scarsa competenza o capacità di “stare al passo coi tempi”, ma spesso sottende un rischio;

5) Se l’annuncio di ricerca è troppo generico o impreciso occorre drizzare le antenne. Un reclutatore non desidera sparare nel mucchio ma vuole ottimizzare risorse e tempo per scovare il profilo migliore. Di fronte a un’inserzione ambigua e/o elusiva le possibilità sono due: o non c’è niente di serio; oppure la realtà non ha chiaro chi cerca (e non è il massimo);

6) Se l’annuncio di lavoro è troppo bello per essere vero, probabilmente non è troppo bello e nemmeno troppo vero;

7) Diffidare da chi ha fretta di concludere l’accordo di collaborazione (a meno di motivi condivisibili).

Mattia Tasso, autore (con C. Pravadelli) del manuale narrativo Riparti da qui – Gioca le tue carte e trova il lavoro giusto per te.

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    Terre di mezzo editore è una casa editrice fondata a Milano nel 1994.
    Pubblica ogni anno più di 100 titoli. Tra le collane principali ci sono: L’Acchiappastorie albi e narrativa per bambini e ragazzi, i Percorsi a piedi e in bicicletta, I Biplani, racconti di grandi autori illustrati da artisti di fama, i manuali creativi delle Ecofficine.
    I primi grandi bestseller sono stati la guida al cammino di Santiago de Compostela e La grande fabbrica delle parole, di Valeria Docampo.
    Negli ultimi anni ha portato in Italia le serie di Dory Fantasmagorica e Cane Puzzone, ha pubblicato più di 40 guide ai cammini italiani e ha dato alle stampe i testi di Paolo Cognetti e Erri De Luca impreziositi dalle illustrazioni di Alessandro Sanna, e di Wislawa Szymborska con Guido Scarabottolo, e Claudio Piersanti con Lorenzo Mattotti.

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