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A scuola… in famiglia

“Non si impara se non c’è libertà”: Erika Di Martino, 32 anni, ha scelto di non mandare a scuola i quattro figli. Per loro ha optato per “l’educazione parentale”: niente aule e insegnanti, ci pensano i genitori a dare un’istruzione ai figli. È la Costituzione, all’articolo 30, a riconoscere questa possibilità: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli” recita. “Ad essere obbligatoria è quindi l’istruzione e non la scuola”, spiega Erika, che ha alle spalle una decina d’anni d’insegnamento in istituti pubblici e privati. “Mi sono resa conto che questi ragazzi soffrivano e imparavano pochissimo, proprio perché erano costretti a passare ore e ore in aula. Per i miei figli ho deciso che non avrei delegato a nessuno la loro istruzione”. L’Ufficio scolastico di Milano e provincia non ha dati su quante siano le famiglie che hanno scelto l’homeschooling, come viene chiamata nei Paesi anglosassoni dove la “scuola a casa” è molto più diffusa che in Italia. Ma saranno una cinquantina quelle che sabato 19 maggio, alla Cascina Santa Brera a Cinisello Balsamo, si ritroveranno per una giornata di scambio e di informazioni. “È aperta a tutti -sottolinea Erika, che ha fondato nel 2010 il sito www.controscuola.it-. Sia a chi già pratica l’educazione parentale, sia chi vuole solo saperne di più” (per info: www.educazioneparentale.org).

L’educazione parentale richiede uno sforzo in più ai genitori. “Bisogna modificare i propri ritmi di lavoro per poter dedicare più tempo ai figli -aggiunge Erika-. Io lavoro soprattutto di sera, per esempio (è anche traduttrice, ndr)”. Ogni famiglia poi adotta il metodo più consono alle esigenze dei figli. “C’è chi si affida anche ad alcuni insegnanti per alcune materie. Per esempio, mio figlio più grande, che ha sette anni, mi ha chiesto di imparare a suonare la chitarra e ci siamo quindi rivolti a un maestro di musica perché né io né mio marito siamo in grado di insegnargliela”. Il segreto dell’homeschooling è che sono i ritmi del bambini e la loro curiosità a dettare i tempi dell’apprendimento. “Non esiste solo la lezione frontale, ma si può imparare in tanti altri modi, attraverso per esempio il gioco o la manualità. Pian piano è il bambino che diventa responsabile del suo apprendimento, che chiede e, quando è più grande, cerca le risposte. Su internet sono poi reperibili programma didattici, lezioni ed esercizi”. Non è necessario quindi spendere migliaia di euro per ingaggiare insegnanti privati. “Bastano una buona biblioteca e un computer -sottolinea Erika-. Inoltre i nostri figli non devono per forza comprare zainetti e astucci di marca perché li hanno i compagni di scuola…”.

I genitori, che scelgono l’educazione parentale, devono ogni anno comunicarlo al direttore didattico della scuola della zona in cui risiedono, dichiarando la propria “capacità tecnica ed economica” a garantire ai figli il diritto costituzionale all’istruzione. “Il bambino poi a fine anno può sostenere l’esame -precisa Erika-, ma non è obbligatorio. Questo però permette di inserirlo nella classe corrispondente nel caso i genitori non potessero più dedicarsi all’istruzione dei figli oppure è magari il bambino stesso a voler provare la scuola”.

Una delle obiezioni che più spesso queste famiglie si sentono rivolgere è che la scuola è anche un luogo di socializzazione con i propri coetanei e con persone adulte che sono fuori dal cerchio stretto dei familiari. “Ma ne siamo proprio sicuri? -afferma Erika-. In realtà è una socializzazione forzata, che si protrae per anni e sempre con le stesse persone. La vera socializzazione è quella che nasce nella libertà”. 

Testo: Dario Paladini, per Redattore Sociale

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