Un euro all’ora: è quanto venivano pagati i 40 romeni ingaggiati dalla Mio Dino srl, azienda veneta che aveva vinto l’appalto di 9 milioni di euro per l’arredamento di alcuni piani del Pirellone bis, la nuova sede della Regione Lombardia. “Il loro compito era quello di trasportare pesanti pannelli di vetro – denuncia Giovanni Minali, segretario della Camera del Lavoro -. Lavoravano sette giorni su sette, per 15 ore al giorno”. Non siamo però di fronte a un caso di lavoro nero. I 40 manovali sono stati infatti ingaggiati in Romania da un intermediario dell’azienda con sede a Portogruaro (Ve), che li ha regolarmente assunti. Il meccanismo di sfruttamento era molto più sofisticato. “A ciascun lavoratore è stata intestata una carta prepagata aperta presso l’agenzia milanese di viale Tunisia della Banca popolare di Vicenza – racconta l’avvocato Angelo Musicco, che assiste i quattro romeni che hanno denunciato il raggiro -. In teoria su quelle carte sarebbe dovuto arrivare lo stipendio, ma in realtà le carte sono rimaste in mano all’intermediario, Olaru Mihai, che dava ai lavoratori solo 400 euro al mese”. Alla conferenza stampa in cui la Cgil ha denunciato il caso, ci sarebbe dovuto essere anche uno dei quattro che hanno avuto il coraggio di ribellarsi. “L’intermediario però è andato in Romania a casa della madre di questo giovane, da lì lo ha chiamato e gli ha detto che se continua a parlare tornerà a casa in una cassa da morto”, afferma l’avvocato. Oggi sul caso sta indagando la Procura della Repubblica di Milano e i quattro romeni “ribelli” hanno anche presentato un ricorso al Tribunale del Lavoro per chiedere che venga loro corrisposta la paga prevista dal contratto di assunzione, circa 1.200 euro al mese. Al telefono Florin, 23 anni, racconta: “Iniziavamo il turno alle 7 del mattino e durava fino alle 17 con un’ora di pausa. Poi verso sera ci richiamavano in cantiere e lavoravamo anche fino all’una di notte”.
La Mio Dino srl nega tutto. “Li abbiamo pagati regolarmente, come da contratto, abbiamo le prove documentali”, afferma Paolo Viezzi, avvocato dell’azienda che ha showroom a Milano, Torino, Roma e Londra. “Abbiamo fatto i versamenti sui conti correnti aperti e indicatici dai lavoratori -aggiunge il legale-. E la responsabilità della Mio Dino si ferma qui. “Se c’erano problemi i lavoratori potevano avvisarci, chiudere i conti correnti e indicarci altre modalità del versamento”. L’avvocato della Mio Dino esclude inoltre che i romeni siano stati costretti a turni massacranti. “L’accesso al cantiere non era libero, ma tramite il passaggio ai tornelli con apposito badge -spiega Paolo Viezzi-. Pertanto dai tabulati risulta che nessuno di loro abbia lavorato per più di 10 ore. E dubito che qualcuno potesse entrare in un cantiere di quel genere abusivamente”.
La vicenda ha però aspetti politici rilevanti. “La Regione Lombardia, tramite Infrastrutture lombarde, è responsabile in solido con la Mio Dino per quello che è avvenuto -afferma Giovanni Minali-. Il problema all’origine sta negli appalti al massimo ribasso (vince chi offre il prezzo più basso, ndr). Nove volte su dieci se li aggiudicano aziende che poi si comportano in questo modo. Inoltre la Regione è responsabile per la mancanza di controlli”. I 40 romeni hanno lavorato nel Pirellone bis per sei mesi, alcuni da giugno e altri da luglio 2010. Nel febbraio 2011 si sono rivolti all’avvocato Musicco. “Abbiamo interpellato la Regione per avere una risposta -aggiunge il segretario della Camera del Lavoro-, ma per ora c’è stato solo silenzio. Formigoni deve dare una risposta e non basta che i lavoratori vengano risarciti. In vista dell’Expo 2015 non possiamo più affidarci ancora agli appalti al massimo ribasso che causano solo sfruttamento”.
Testo: Dario Paladini, per Redattore Sociale