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Oltre le denunce

Procura che vai, usanza che trovi. In Italia non esistono protocolli sulla gestione dei casi di violenza sulle donne. E si vede. A Milano, alla denuncia di maltrattamento non fa seguito l’indagine. È l’allarme lanciato dalla Casa delle donne maltrattate (Cadmi), che il 14 maggio ha pubblicato il bilancio di un anno di attività. Per i pm meneghini, segnalano al Cadmi, il 66,7 per cento delle denunce per maltrattamento familiare (1.032 su 1.545 nel 2012), dovrebbe venire archiviato. Un trend che dura dal 2008: “I procuratori si arrogano il diritto di capire se c’è stato un maltrattamento o se si tratta di un conflitto familiare solo a partire da quanto dice la denuncia, senza nemmeno indagare”, commenta Manuela Ulivi, avvocata, presidente della Casa delle Donne Maltrattate. Per duecento volte, nel 2012, il giudice per le indagini preliminari ha respinto la richiesta. Un dato significativo, segnala Ulivi. Quando il gip apre il contenzioso, è abbastanza frequente il rigetto. Il problema, ragiona Ulivi, sta quindi nella percezione della gravità del fatto che hanno gli inquirenti, dalle forze dell’ordine alla magistratura: “I maltrattamenti non si percepiscono ancora come comportamenti gravissimi, che possono arrivare ad estreme conseguenze”, dice. A questo s’aggiunge l’assenza di protocolli da seguire per i casi di violenza sulle donne: “Ogni Procura fa da sé, non c’è omogeneità. Dovremmo imparare, anche tra parti in causa, a parlarci più spesso”, aggiunge Ulivi.

Un problema culturale
Che sia cresciuta la consapevolezza comune sulla gravità dei maltrattamenti “di genere”, lo prova la crescita del numero di denunce. Al Tribunale di Milano, le notizie di reato per stalking, introdotto nel codice penale dal 2009, sono passate da 430 a 945. In aumento anche gli articolo 572 del Codice penale, cioè i maltrattamenti familiari, passati da 1.318 a 1.545. Più stabili invece le notizie di reato per violazione degli obblighi di assistenza familiare (ossia il mancato versamento dell’assegno familiare in caso di separazione o lo sperpero di denaro destinato ai minori in caso di convivenze, ndr), stabili tra il 2009 a il 2011 sulle 800 ed esplose lo scorso anno a 920.

Le donne non si sentono protette
La pena massima per i reati correlati alla violenza sulle donne è di al massimo due anni. Difficile, quindi, che la pena si traduca in detenzione in carcere. La custodia cautelare in carcere, su 1.545 reati per maltrattamento familiare, nel 2012 è stata concessa 106 volte, una ogni 15 denunce. Questo non toglie, però, che il giudice debba prevedere l’allontanamento della vittima dal suo aggressore, anche con forme di custodia cautelare alternative al carcere. Una circostanza che si riscontra troppo poco: “Non riconoscere allontanamento è un fatto che ci indigna, è gravissimo – dichiara Ulivi -. Bisogna ribadire che la problematica è gravissima, che ci sono donne che rischiano la vita. È un problema culturale e di sensibilità: troppo spesso non si ha ancora chiaro il pericolo che corrono le donne“. Il momento più delicato, per altro, secondo la Casa delle donne maltrattate, è proprio a seguito della minaccia di denuncia.

Il profilo delle vittime, secondo il Cadmi
Il 67,27 percento delle donne che si sono rivolte alla Casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano (Cadmi) per l’anno 2012 non ha denunciato. Le vittime sono soprattutto italiane (69 per cento), tra i 28 e i 47 anni (54,9 per cento), spesso con un lavoro (quasi sei su dieci) e un’elevata preparazione culturale. Sulle 130 persone con un’occupazione, 34 sono badanti, 23 impiegate e 11 insegnati. In sette casi su dieci a maltrattarle è la persona con cui convivono, mentre nel 9 per cento dei casi la coppia non vive sotto lo stesso tetto. Tra le straniere, 15 sono le donne romene, le più colpite dalla violenza maschile, mentre otto sono le peruviane. Sono stai 578 i contatti, 220 i colloqui personali e sette gli ospiti. Tutte e 220 le donne che hanno avuto un colloquio, sono state seguite da legali e psicologi della Casa per uscire dalla violenza.

La minaccia più grande dai conviventi
Nell’86,5 per cento dei casi, la violenza era di natura psicologica, sette volte su dieci fisica e una su quattro economica. Il 15 per cento dei casi si trattava di stalking e il 13 per cento di violenza sessuale. Alla Casa si è rivolta anche una minorenne e sei persone sopra i 67 anni. Nel 38,1 per cento dei casi, alla violenza hanno assistito dei minore. La percentuale sale al 72,2 per cento, 259 bambini in totale, se si tiene conto dei nuclei con minori in cui c’è stato un maltrattamento. Tre volte su dieci, questo dura più di un anno, durata media delle violenze contro le donne. Cosa sta a monte della violenza? Otto volte su dieci, l’uomo ha dipendenza da alcol o da droghe, ha disturbi psichici altre forme di problemi personali come invalidità o malattie croniche. Nel restante 20 per cento, la metà ha problemi psichiatrici aggravati proprio dalla violenza perpetrata. Sono i più vicini alla vittima gli esecutori della violenza: 149 su 220 erano mariti, conviventi o fidanzati, 37 gli ex, nove i padri e nove i conoscenti.

Redazione: Lorenzo Bagnoli, 14.05.2013.

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