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Cronaca di una protesta annunciata

“Caterina Chinnici (capo del Dipartimento di Giustizia minorile, ndr) deve mandare il personale nelle carceri di Milano invece che tenersi tutti alla sua corte”. È un fiume in piena Donato Capece, segretario del Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria. La situazione al carcere Beccaria è fuori controllo, come testimonia la rivolta scoppiata sabato sera. E il dito di Capece punta i palazzi romani, sordi alle richieste del sindacato, prima fra tutte l’aumento del personale in servizio. Ad oggi sono ristretti 59 ragazzi, una cifra compatibile con il tetto massimo di 60 previsto dal ministero. “Ma fino a giugno il massimo era 48 e la soglia è stata innalzata così, senza interventi strutturali”, chiosa Roberto Martinelli, del Sappe. La sproporzione tra ciò che dice la carta e la realtà è ancora più evidente per quanto riguarda il personale in servizio. “In tutto – prosegue Martinelli – ci sono 54 agenti ma la quota prevista è di 98”.

Meno detenuti e più formazione – è la richiesta del segretario Capece – : non è possibile fare attività con gruppi di 15-20 ragazzi con un solo educatore”. Era inevitabile che la situazione degenerasse, sostiene. “I minori sono detenuti sui generis, super tutelati, è facile che capitino rivolte. In questo caso il leader è un personaggio con un profilo criminale importante, seppur minore”, continua Capece. Dopo aver fatto proseliti, ha sfruttato un pretesto per scatenare la protesta. Nei giorni precedenti, però, c’erano tutte le avvisaglie: un’evasione, risse tra i detenuti, disordini durante i colloqui quotidiani. Sabato sera è stato necessario l’intervento dei vigili del fuoco e della polizia di Stato per far tornare la calma. La professionalità dei tre poliziotti penitenziari intervenuti immediatamente, precisa il Sappe nel comunicato stampa, ha impedito che i 40 “rivoltosi” facessero danni ancora più ingenti e che il bilancio dell’insurrezione fosse ben peggiore.

“Ho parlato dell’episodio con alcuni ragazzi che provengono dal Beccaria – diceAlberto Dal Pozzo, responsabile di Terzo Spazio, una comunità che ospita ragazzi del carcere e giovani con problemi familiari e psicologici -. Mi hanno raccontato che manca personale e che la risposta educativa non è adeguata”. Bastano i numeri per capire la situazione: in un anno, gli educatori sono passati da 18 a tre. “Forse servirebbe un maggiore investimento per supportare il recupero”, conclude Dal Pozzo. In questo contesto, al carcere minorile di Milano è difficile trovare opportunità per crescere e superare le proprie difficoltà.

Terzo spazio è l’ultima nata della famiglia di Arimo, una cooperativa sociale che ha mosso i primi passi nel 2003. “Siamo attivi da luglio – spiega Dal Pozzo – e al momento ospitiamo cinque ragazzi”. Il tetto massimo previsto è di dieci ospiti. Terzo spazio arriva a pochi mesi dall’anniversario dei dieci anni d’attività di Arimo. Accoglie maschi tra i 14 e i 18 anni, con la possibilità di prorogare il tempo di permanenza fino a 21. Gli ospiti provengono dal carcere Beccaria, oppure dai servizi sociali territoriali. “Chi viene da noi o ha avuto problemi con la giustizia oppure ha fragilità psicologiche e legate all’ambito familiare”, aggiunge Dal Pozzo.

Redazione: Lorenzo Bagnoli, 18.09.2012

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