Solo i numeri parlano chiaro: Sos Impresa stima che a Milano le vittime di usura mafiosa siano circa 5mila. Ma le denunce si contano sulle dita delle mani: al massimo dieci all’anno. Negozianti e imprenditori pagano e tacciono. È questo il ritratto scomodo del capoluogo lombardo che emerge dall’inchiesta di febbraio di Terre di mezzo – street magazine, dal titolo “Milano omertosa”. Lorenzo Bagnoli ha raccolto la testimonianza dei pochi che hanno osato denunciare. “Sono condannati alla solitudine -scrive-: la società civile ancora rifiuta l’idea che in città si paghi il pizzo, che le organizzazioni criminali controllino le gare d’appalto e impongano ai commercianti personale e forniture”. Le richieste di accesso al fondo antiracket pervenute alla Prefettura di Milano nel 2011 sono state due, tre nel 2010.
Le inchieste della magistratura ormai hanno svelato che ‘ndrangheta, mafia e camorra hanno radici ben salde a Milano. Tra i pochi che denunciano c’è Maria Grazia Trotti, la prima in Lombardia nel 1991 a reagire al clan che stava cercando di portarle via la gioielleria, prima distruggendole la vetrina durante una rapina e poi cedendole a usura i soldi per ripartire. Ha fondato a Vigevano una sezione di Libera e sta aiutando una decina di imprenditori a liberarsi della piovra.
Tutti stanno zitti anche perché Stato e banche si girano dall’altra parte. Tra le storie raccolte da Terre di mezzo, c’è quella di E. che ha denunciato i suoi aguzzini. Ha dovuto chiudere la sua attività e non ha più accesso al credito delle banche perché lo ritengono comunque un cliente a rischio. E non ha potuto nemmeno accedere al fondo antiracket perché non è più un imprenditore. “Dal momento in cui parli inizia un percorso di morte civile -spiega Maria Grazia Trotti-. Non ci si sente lo Stato alle spalle”. Basti pensare che il governo Berlusconi ha ridotto da 12 milioni di euro a 2 milioni il fondo antiracket.
Testo: Dario Paladini, per Redattore Sociale